domenica 22 giugno 2025

Sulle tracce di Pasquino: Come è stata ricostruita la storia dimenticata di un bisnonno

Ci sono storie che abitano le famiglie come presenze silenziose. Sono fatte di frammenti, di aneddoti sussurrati, di nomi incisi su vecchie fotografie. Non si trovano nei libri di storia, eppure sono state vite vere, pulsanti, cariche di sogni e drammi. La storia di Pasquino – per tutti Pasquale – bisnonno dello scrittore Stefano Terraglia, era una di queste: un'ombra nella memoria familiare, una figura definita più dalle sue assenze che dalle sue certezze.

Di lui si sapeva poco: un sarto tornato dalla Grande Guerra, una vita avvolta da una tragedia, un destino compiuto troppo presto. Ma ogni volta che il suo nome affiorava nei racconti, l'autore sentiva che dietro quel velo di tristezza c'era un'esistenza che gridava per essere raccontata, un'anima che chiedeva di non essere dimenticata.

Come regista e scrittore, Stefano Terraglia ha sempre creduto che il compito di un narratore sia dare voce a ciò che rischia di perdersi nella polvere del tempo. E così, con la sensazione di rispondere a una chiamata, a un dovere intimo, ha deciso di intraprendere un viaggio a ritroso. Un viaggio per restituire a Pasquino la sua storia.

Il primo passo, il più prezioso, è stato per l'autore sedersi con sua madre e sua zia, accendere un registratore e ascoltare. Le loro voci, a tratti incrinate dalla commozione, sono diventate la sua bussola. Ogni loro ricordo era un pezzo del mosaico: l'orgoglio per il lavoro di sarto, il racconto della bottega nel cuore di una Firenze inquieta, la descrizione di un uomo buono ma tormentato dalle cicatrici invisibili della guerra. Quelle conversazioni non sono state una semplice raccolta di dati, ma un passaggio di testimone, un'eredità emotiva che lo ha investito di una grande responsabilità.

Ma le memorie familiari, per quanto potenti, non bastavano. L'autore voleva capire il mondo che aveva visto Pasquale, l'aria che aveva respirato. Ha passato giorni interi nelle sale silenziose della Biblioteca Nazionale di Firenze, sfogliando i giornali del periodo 1919-1920. Le cronache parlavano di scioperi, tensioni sociali, miseria palpabile e della paura ancora viva della Spagnola. All'Archivio Storico, ha cercato il suo nome, una traccia ufficiale, un documento che potesse confermare i racconti.

Lentamente, Pasquino ha smesso di essere un fantasma. Lo scrittore ha iniziato a vederlo camminare per le strade di una Firenze che non c'è più, ha immaginato la sua fatica, le sue speranze, i suoi amori. Ricostruire quella vita è stato come montare un film senza avere tutte le scene. I fatti storici erano l'intelaiatura, i ricordi familiari i dialoghi, ma per riempire i silenzi, per dare un'anima a quell'uomo, ha dovuto usare gli strumenti del romanziere: immaginare i suoi pensieri, il battito del suo cuore, la stretta allo stomaco di fronte ai bivi della vita.

"L'ultimo fiore" è nato così, dal dialogo tra la memoria e l'immaginazione. È la storia del bisnonno dell'autore, ma è anche la storia di tutte quelle "anime silenziose" di un'epoca inquieta, la cui vita non ha trovato spazio nei libri di storia. È il tentativo di Stefano Terraglia di saldare un debito, di restituire dignità a un'esistenza e di credere che nessuna vita, per quanto umile o tragica, vada veramente perduta finché c'è qualcuno disposto a raccontarla.

L'augurio dell'autore è che, leggendo la storia di Pasquale, anche i lettori possano sentire il richiamo delle proprie radici e trovare la voglia di chiedere, di ascoltare, di preservare le storie uniche che rendono ogni famiglia un piccolo, irripetibile universo.